Dall’Africa veniamo ed è sempre più evidente che all’Africa stiamo tornando, continente “nuovo” al quale guardare. I segnali sono sempre più insistenti anche nel capire di sostituire all’ambiguo “per” loro, il “con” loro per entrare insieme nel futuro, come ci racconta una piccola grande storia di successo che viene dall’alta moda. Una storia emblematica a tal punto da cambiare non solo la prospettiva di uno stereotipo destinato alla dissolvenza, ma di cambiare lo stesso paradigma del senso di uno sviluppo sostenibile nelle sue tre principali declinazioni: economico, sociale, ambientale.
C’è tutto questo e probabilmente di più nel marchio “Made For A Woman” di Eileen Akbaraly che - nato con l’idea di trasformare il mondo fashion in uno strumento di emancipazione e di bellezza, per creare opportunità, restituire dignità e di farlo a basso impatto ambientale – dà lavoro a 750 artigiani in Madagascar e collabora con le grandi maison del lusso.
“Fin da piccola sentivo il bisogno di fare qualcosa: non mi bastava osservare, volevo agire – ama raccontare Eileen, la trentenne fondatrice dell’atelier che, cresciuta in Madagascar (“Uno dei luoghi più belli della Terra, ricco di cultura e biodiversità, ma segnato da profonde disuguaglianze”) in una famiglia dalle radici italiane, indiane, francesi e malgasce. È così che “partiti nel 2019 il nostro percorso è ufficialmente iniziato nel 2020, e da allora non ci siamo più fermate.” Ed Eileen ha agito senza farsi scoraggiare né dagli scettici né dall’utopica, allora, idea di fare moda di alta qualità coinvolgendo donne marginalizzate e in uno tra i dieci Paesi più poveri del mondo.
Solo cinque anni dopo, la trentenne fashion designer nel dare il volto alla copertina di Forbes Africa Under 30 è stata non solo consacrata imprenditrice di successo, ma di lei si dice che abbia ridefinito gli stessi contorni del lusso, dimostrando che c’è un altro modo di fare impresa.
Offrire lavoro sarebbe stato un obiettivo comunque raggiungibile, offrirlo per competere nel mondo dell’alta moda sarebbe stato un po’ più complesso, addirittura un azzardo, figurarsi l’idea di andare ancora oltre per creare un luogo nel quale ognuno potesse sentirsi valorizzato. Eppure, fermarsi qui sarebbe stato ancora limitativo. Infatti: “Accogliamo – racconta – artigiani provenienti da background complessi e li accompagniamo in un percorso di formazione e di crescita che va ben oltre il lavoro, peraltro di alta professionalità. Ognuno di loro ha accesso a un ecosistema di servizi che include assistenza sanitaria, supporto psicosociale, educazione finanziaria, alfabetizzazione, asilo nido, tutti servizi estesi gratuitamente anche alle famiglie degli artigiani per generare un impatto reale sull’intera comunità”.
Da qui si capisce che una delle sfide più impegnative è stata “abbattere barriere, innanzitutto culturali, costruire fiducia per fare sì che le donne credessero nel proprio valore dopo vite intere passate a sentirsi invisibili”.
L’altra sfida, anch’essa di non poco conto, era di riuscire a fare convivere due mondi: la sostenibilità e le esigenze del mercato internazionale del lusso. Trovare un equilibrio tra i tempi dello slow fashion artigianale e le richieste dell’industria non è stato e non è semplice, “soprattutto quando si vuole restare fedeli ai propri valori”.
Oggi si può tranquillamente affermare che le due sfide sono state vinte in un percorso di impegno imprenditoriale e sociale diventato il fondamento stesso delle creazioni di qualità che, interamente realizzate a mano con materiali sostenibili come la rafia, custodiscono i saperi tradizionali interpretati da un eccellente artigianato e mostrati ora con orgoglio al mondo sotto il segno del made in Madagascar.
La verifica della WFTO, le collaborazioni con Chloé e Fendi, le partecipazioni alla Fashion Week di Milano, i premi internazionali, la visita della premiere dame di Francia di Brigitte Macron all’atelier, e infine la copertina di Forbes Afrique sono state alcune importanti tappe che hanno dato visibilità e credibilità all’impresa anche come modello per l’intera industria della moda. Made For A Woman oggi non è solo un brand di successo. È una comunità operosa, un modello che può essere replicato e che dimostra che “un altro modo di fare impresa più giusto non è utopia ma è davvero possibile”. Basti pensare che le collaborazioni con marchi come Fendi e Chloé non sono solo operazioni di fornitura, ma incontri di co-creazione nel disegnare e confezionare prodotti che sfilano sulle passerelle più importanti o pubblicati sulle riviste più prestigiose.
Su questo potente messaggio di un modello virtuoso non si chiuderebbe il cerchio senza il contributo realizzato all’attenzione per l’ambiente. L’Atelier utilizza solo rafia naturale di provenienza locale. La rafia è raccolta da fornitori certificati nel rispetto dell’ambiente seguendo una filiera trasparente, poi tinta con pigmenti atossici e lavorata secondo una varietà di tecniche artigianali, come il crochet, il macramé, il tressage, il ricamo e la tessitura. Per ridurre ulteriormente l’impatto ambientale, il brand utilizza materiali second-hand, come il cotone, e ricicla la rafia che altrimenti verrebbe gettata o scartata trasformandola nei prodotti “Rainbow”, creazioni multicolore completamente uniche e diverse tra loro: una pratica che ha permesso di ridurre significativamente gli sprechi.
Un convinto contributo a un’industria della moda che emette oltre 2,1 miliardi di tonnellate di gas serra, quasi il 4 percento delle emissioni globali e produce 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, di cui l’87 percento finisce in discarica.
È così che nel non facile ma sereno percorso verso una circolarità il più possibile esaustiva Made For A Woman sta riuscendo nell’impresa di tutelare e di promuovere le persone e l’ambiente, reinvestendo ogni anno la maggior quota possibile per espandere e consolidare l’impatto sociale insieme alla salute economica e a quella fisica e mentale, affidata al dipartimento psicosociale creato in Made For Woman per prendersi cura del dipendente, spesso donna e in condizione di fragilità e povertà.
Il sogno di Eileen è che “spera di essere l’impronta che serve per ispirare i colleghi e mostrare come sia davvero realizzabile un’impresa che abbia un impatto positivo sulla società”.
Cultura, energia, formazione, infrastrutture, creatività: questi i settori chiave su cui investire. E in tutto questo, la moda è emersa come un potente strumento di dialogo e diplomazia culturale, capace di creare legami, visioni comuni e nuove opportunità, sia in Italia che in Africa.